LE ORIGINI
La Campazzo è una delle antiche cascine del Sud milanese. Benché non siano state trovate tracce certe in documenti più antichi del 1700, il primo nucleo in forme molto più semplici di quelle che conosciamo, nasce, secondo l’opinione di alcuni storici (Santino Langé, Francesco Sûss), addirittura tra il XIV° e il XV° secolo, a seguito dell’ampliamento della rete irrigua e della conseguente graduale estensione delle terre coltivate, dovute alle nuove tecniche agricole messe a punto dai monaci cistercensi della vicina Abbazia di Chiaravalle (fondata nel 1150 e ampliata sotto gli Sforza nel 1465). L’invenzione del prato marcitorio decretò insieme alla prima organizzazione delle acque per l’irrigazione, un’ estensione delle terre coltivate e un conseguente notevole incremento della produzione di foraggio a scapito delle terre improduttive e dei boschi, quindi il conseguente aumento della popolazione che rese necessaria la costruzione di nuove abitazioni. È in questa fase che sorgono le prime strutture produttive (cascine) vista anche la vicinanza della città in espansione.
Da una consultazione del Catasto Teresiano risulta che nel 1722 la Cascina Campazzo era “non a corte”, costituita cioè da due soli corpi di fabbrica, tra loro perpendicolari cioè disposti a forma di L.
In seguito, e in particolare negli ultimi decenni del ‘700, durante l’amministrazione austriaca, vi furono numerose innovazioni sia nelle tecniche produttive, sia nelle conoscenze agronomiche. Oltre la diffusione del gelso, della risaia, della marcita, del mais (chiamato granturco perché allora ogni novità era considerata una “turcheria”), e della canapa, vi fu un miglioramento dei metodi di rotazione delle coltivazioni e una più razionale e parcellizzata sistemazione irrigua.
Nel 1816 venne terminato il Naviglio pavese dal quale derivarono varie rogge, bocche di irrigazione e canali, organizzati in tre ordini, a seconda dell’importanza e della lunghezza dei percorsi. A metà dell’ ‘800 le terre della Pianura Padana ed in particolare le terre del Sud milanese, rese più produttive e più fertili per la presenza e lo sfruttamento dei fontanili esistenti, rappresentavano l’avanguardia dell’agricoltura italiana. Fu in questi anni che il nucleo edilizio della Campazzo divenne, tra il 1830 e il 1850, quel che conosciamo adesso, con una grande corte centrale e i fabbricati dei salariati e delle stalle a chiudere un’ampia proprietà ben cintata con alti muri di mattoni rossi a vista. Un piccolo oratorio o cappella, dedicato a Sant’ Ignazio, venne edificato nel 1812 da Antonio Luigi De Carli, un ecclesiastico, allora possessore della Campazzo (vedi “Alla ricerca della cascina perduta” Liceo Allende 1992) . L’etimologia campazzo è di origine incerta: forse da campus (campo aperto) oppure da cum passus (da pàndere = allargare) quindi di campo allargato, ma anche da passus inteso come passaggio obbligato, sentiero controllato, confine.
La Cascina Campazzo, una delle poche, forse l’unica del suo tipo nel milanese, a non presentare negli ultimi 165 anni manomissioni formali né trasformazioni tipologiche e morfologiche, rispetta pienamente la tipologia propria della cascina lombarda dell’ ‘800, in particolare della cascina della bassa pianura padana. Attorno all’ampia corte rettangolare adibita ad aia, si dispongono, accanto al cancello di ingresso padronale, oltre al forno, restaurato dall’Associazione nel 2008, le case dei fittavoli (più anticamente dei proprietari) orientate sull’asse Sud-Est / Nord-Ovest.
Poi, ad angolo leggermente ottuso, seguono i corpi pilastrati a doppia profondità e a doppia altezza adibiti a ricovero dei mezzi agricoli e del raccolto. Di fronte alle case padronali, in fondo all’aia, ci sono le grandi stalle a doppia profondità, porticate verso il tramonto. Ad angolo retto, si allunga la stretta casa a ringhiera dei salariati e, a chiudere il rettangolo, la chiesetta di Sant’ Ignazio. L’impianto generale si complica verso Nord con un ulteriore spazio delimitato da costruzioni adibite a depositi vari, un recinto per il bestiame e un corpo di fabbrica più piccolo ma anch’esso porticato a doppia altezza. Nell’angolo Nord-Ovest, in uno spazio particolarmente celato alla vista, i due elementi “moderni” rappresentati dai silos in cemento, presenza pressoché obbligatoria nella pratica agricola degli anni ‘50. All’esterno del muro di cinta, ma accostato alla casa padronale, un bel giardino si allunga su tutta la parte esterna della costruzione più nobile occupando lo spazio tra la cascina e la roggia Scarpogna che deriva dal Ticinello. Piantumato con essenze non tipiche dell’area milanese come abeti, tuia e cipressi, il giardino qualifica e certifica con la sua presenza, un certo status symbol che richiama la nobiltà delle Ville sei/settecentesche della provincia milanese e ci fa capire che la Campazzo godeva di una particolare importanza nell’ambito delle cascine, testimoniata anche dalla presenza della chiesetta. Il giardino con piante esotiche, aiuole fiorite, roseti, piante da frutta e cespugli di pitosforo e bosso era una presenza abbastanza consueta nelle cascine più ricche, soprattutto verso il Po e nell’Oltrepò proprio dove queste essenze vegetali erano più rare e davano quindi un carattere di esclusività a questa parte della struttura abitativa. In complesso la Campazzo, vista dall’interno del recinto, trasmette l’idea di una organizzazione razionale e di una attività produttiva ordinata. La disposizione planimetrica consente al proprietario (affittuario o imprenditore che sia) un controllo immediato e completo delle attività anche rimanendo nei pressi di casa mentre la disposizione della varie funzioni (stalle, portici, aia, stoccaggio del fieno, essicazione, ricovero attrezzi e macchine) facilitavano e facilitano tuttora gli spostamenti degli addetti ai lavori semplificando la logistica e l’economia. Gli spazi interni delle case padronali dichiarano un certo agio, con dimensioni generose, soffitti alti, grandi dispense, cantine, ampie scale, camini importanti. La semplicità e, insieme, la solennità degli spazi interni dialoga impeccabilmente con la razionalità tranquilla dei spazi esterni trasmettendo una sensazione di sicurezza, di durata e di fiducia nel lavoro. Il blocco edilizio di tutto il complesso cascinale, ben delimitato e compatto, difeso da alti muri, accessibile da pochi ingressi, si pone verso la campagna aperta come un forte segnale di presenza umana. Non si nasconde nel paesaggio, non si mimetizza, ma si impone come un punto di forte presenza organizzata.
(dal libro “TICINELLO 25 anni di Storia” del Comitato per il Parco Ticinello – marzo 2015)